[FILM] Diabolik - Chi sei?, la recensione (no spoiler)

 


Giunge a conclusione il progetto cinematografico su Diabolik, una trilogia firmata Manetti Bros. che ci ha tenuto compagnia per tre anni.
Tre film che hanno innescato accesi dibattiti anche tra i fan dell'opera a fumetti, in quanto opere davvero particolari.
Diabolik - Chi sei?, ultimo capitolo della saga, potrebbe persino essere il migliore dei tre...


Storia tratta abbastanza fedelmente dall'albo n. 107, il celebre episodio dove -per la prima volta- si narrava parte dell'infanzia e giovinezza di Diabolik (QUI la sua storia completa), quella del film Diabolik - Chi sei? integra anche qualcosa da altri albi, ma soprattutto costruisce una trama che possa essere corale (col protagonista, Eva Kant, Ginko e Altea) e ancor di più filologica coi due episodi precedenti.





Chiariamo subito: lo stile è quello di sempre, l'approccio alla materia -scelto dai Manetti e dagli sceneggiatori- è confermato: toni impostati, recitazione teatrale, ricercatezza di ambienti e design (ora siamo negli anni '70), e tutta quella serie di cose già ampiamente discusse, che possono essere una zavorra per alcuni o pregio secondo altri.
Di certo, portare sullo schermo Diabolik non è facile; non è facile renderlo credibile (avendo, il materiale di partenza, caratteristiche molto particolari).
Non fu facile per Bava e non lo è per i Manetti; per i lettori farà sempre strano vedere Eva muoversi in un certo modo, o Diabolik fare espressioni umane.
È normale, e questo vale probabilmente più per Diabolik che per qualsiasi altra opera.
Ma una cosa è certa: la trilogia -e qui si capisce, visti i rimandi al primo e al secondo capitolo, con tanto di cerchio che si chiude- è stata pensata in modo coeso e coerente: un affresco sui quattro personaggi principali che svelasse poco a poco le caratteristiche di ognuno.



Stavolta gli omaggi sono al poliziottesco (citato ampiamente a inizio pellicola) ma anche a certe plumbee e torbide situazioni del cinema noir dell'immenso Di Leo, intravedibili qua e là da un occhio esperto. C'è persino Barbara Bouchet, tra le guest star (assieme a Max Gazzè e Carolina Crescentini).
Ma al di là dei rimandi, il film è manettiano allo stato puro: più liberi e forse più a loro agio con l'epoca, i fratelli danno il loro tocco personale estetico e tecnico, con musica e canzoni -colonna sonora dei consolidati Pivio e Aldo De Scalzi, brani dei Calibro 35 e Alan Sorrenti a completare il piacevole quadro.




Dopo averci raccontato come Diabolik conobbe Eva (QUI) e la lotta dell'ispettore Ginko contro il suo avversario (QUI), stavolta tocca all'origin story del protagonista.
I fan del fumetto conoscono già bene (e anche di più) tutta l'infanzia sull'isola di King (ricostruita presso la calabrese isola di Dino): un naufragio, un bambino che presto impara ogni arte criminale e non, la pantera nera e il rapporto con il re del crimine King.
I manetti scelgono delle parentesi in b/n che si innestano nel racconto del presente: stavolta la sorte ha riservato, ai due eterni avversari, una beffa clamorosa: entrambi sono tenuti prigionieri di una spietata banda.




Il film deve necessariamente prendersi qualche libertà, anche e soprattutto per chiudere con coerenza quanto narrato nei primi due capitoli: e così, anche in questa pellicola appare Altea di Vallenberg (Monica Bellucci), assente nell'albo di riferimento (ma presente in una situazione analoga di un'altra storia).
A lei e Eva (Miriam Leone) toccherà agire parallelamente ai loro due uomini (Ginko, ossia Valerio Mastandrea, e Diabolik, Giacomo Gianniotti).
L'equilibrio finale è così consentito, e ognuno dei personaggi (anche secondari) trova il compimento alla propria trama.





Farà strano, per i fan del fumetto, vedere un rapimento iniziale inutilmente artificioso, o uno spogliarello integrale (l'erotismo, in Diabolik, è sempre stato solo suggerito, casto, raffinato, specie rispetto ai suoi epigoni più volgari).
Queste le uniche novità rispetto a un'opera che, in tre atti, ha cercato una pressoché assoluta fedeltà all'originale.
Diabolik - Chi sei? potrebbe essere il capitolo più bello dei tre (anche se manca un po' dell'estremo fascino di design del primo film), sicuramente la degna conclusione di un percorso che -si è capito- o si ama o si odia.
Ma dopotutto è Diabolik stesso a essere così: netto, nero, senza vie di mezzo e soprattutto portavoce di un linguaggio tutto suo, un meccanismo in cui bisogna entrare.
E che i Manetti hanno saputo restituire, al di là della bellezza o meno dei tre film.

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